Lamezia Terme – E’ stato Gennaro Pulice ad uccidere Gennaro Ventura, il fotografo rapito il 16 dicembre del 1996 e poi assassinato con un colpo di pistola in fronte, i cui resti mortali furono rinvenuti il 26 aprile del 2008 in un vecchio casolare di campagna in località Geraci. Un particolare che emerge da un verbale reso da Pulice dopo essere diventato collaboratore di giustizia.
Un omicidio, ha confessato Pulice, che “ho realizzato da solo e comunque darò i particolari su come si è svolto, come si è svolto, come ha fatto il Ventura a salire in macchina mia, ecc”, svelando anche che “il Ventura è stato ucciso con due colpi di pistola, uno in testa a mo’ di esecuzione”. Ventura, secondo la versione del collaboratore di giustizia, è stato “eliminato” per vendetta perché quando era ausiliario dei carabinieri aveva “arrestato una persona facente parte dei Cannizzaro”.
Dopo 20 anni dall’omicidio, sembra arrivata la svolta su questo fatto di sangue sul quale per anni hanno indagato le forze dell’ordine. Quindi non è escluso che sulla base delle rivelazioni di Pulice e dopo anni di attività investigativa si possa giungere a individuare, il mandante e il movente dell’omicidio. Dopo la scomparsa del giovane, le indagini furono portate avanti per alcuni anni e poi archiviate perché non si riuscì a trovare il fotografo, né si sospettava che potesse essere stato ucciso. Per anni si è indagato nel passato dell’uomo, soprattutto sull’attività svolta come carabiniere, nella speranza che gli inquirenti potessero individuare qualche elemento utile al ritrovamento.
Il 4 novembre del 1997, nel corso della trasmissione “Chi l’ha visto”, il fratello di Gennaro, Raffaele, parlò di un incontro che il fratello avrebbe avuto nel giugno del 1994 con un fantomatico avvocato Di Cello. In seguito a questo incontro, Gennaro gli avrebbe confidato di essere molto preoccupato. La chiave del mistero era forse legata a un cliente che Ventura doveva incontrare nel pomeriggio di quel 16 dicembre: appuntamento per il quale avrebbe declinato l’invito di una sua amica a prendere un caffé. Erano le 15.40. Le indagini portate avanti per qualche anno furono poi allentate, fino a quando non si trovarono i resti di Gennaro. Dopo la scoperta del cadavere e la conferma, dopo gli esami autoptici e del Dna, che quelle ossa ritrovate erano del fotografo, le indagini ripresero a ritmo serrato, ma senza esito.
Nell’immediatezza della sparizione, l’attività investigativa si concentrò nel periodo in cui il fotografo era in servizio come carabiniere a Tivoli. Ventura fu uno dei testimoni chiave in un procedimento penale che portò alla condanna di 2 uomini, uno di Torino e uno, incensurato, lametino. Il 15 luglio del 1991, Ventura si era recato a Roma con un commilitone per consegnare a un perito chimico del Tribunale, un campione di stupefacente sequestrato. I due carabinieri avevano incrociato sulle scale del palazzo un uomo vestito da poliziotto, insieme con uno in borghese.
Trovarono la porta dello studio aperta e il perito massacrato di botte, rapinato di un importante quantitativo di eroina e cocaina che aveva in consegna. Durante le indagini, Ventura, il suo collega e il perito contribuirono a definire un identikit fotografico del finto poliziotto, che portò a incriminare due uomini. Il fratello ricordò che, dopo l’incontro con un sedicente avvocato nel giugno del ’94, Gennaro Ventura apparve spaventato e pronunciò la frase: «Sono riusciti a trovarmi», forse riferendosi a qualche episodio avvenuto quando era carabiniere. Questa ipotesi investigativa, che per anni ha contraddistinto le indagini, non furono tenute nella giusta considerazione. Ora, a distanza di 20 anni dalla sua uccisione e sulla base delle rivelazioni del collaboratore, trovano certezza. Ventura sarebbe stato ucciso per una vendetta.